LA CANZONE DI ACHILLE

La Canzone di Achille

Ti trovi per i colorati e disordinati scaffali della Feltrinelli e in un improvviso impeto di cultura decidi di lanciarti nella sezione “storico”. Un voluminoso libro rosso ti attira. Lo osservi con più attenzione. Noti che il drappo rosso non è altro che il mantello che copre una lavorata corazza di bronzo da oplita. Decidi di leggere il titolo: La canzone di Achille. “L’ennesimo autore che romanza l’Iliade”, pensi, e quasi stai per tirare avanti che ti cade l’occhio su un commento in corsivo “il miglior romanzo che ho letto quest’anno”, a questo punto ti senti interessato, ma la tua attenzione di lettore medio, nato intorno ai primi anni duemila,  viene davvero destata solo quando leggi che l’autore del commento non è niente po’ po’ di meno che J.K. Rowling. Le infrastrutture sociali di fine Novecento ti impediscono di non conoscere questo nome, e dopo esserti autoconvinto di star per comprare un libro di carattere storico apprezzato dalla più famosa autrice del secolo, capisci che stai per fare il colpo comprando quello che ti potrà valere motivo di vanto con i tuoi conoscenti che al momento giudichi troppo ignoranti. Bene, ora che sei convinto ti incammini verso le casse e poiché incontri  una fila chilometrica decidi di intrattenerti leggendo la trama del libro che stai per comprare. Arrivi in fondo alla colonna e non rimani sorpreso, in fondo si tratta di una “armonizzazione” dell’Iliade, proprio come avevi immaginato, ma c’è di più, non è solo un romanzo, è un romanzo d’amore gay. Non che nell’anno 1250 a.C. qualcuno utilizzasse il termine “omosessualità” o rimanesse inorridito nel sorprendere due amanti dello stesso sesso, ma mentre ti trovi alla cassa della libreria sei contento della tua scelta letteraria che reputi controcorrente e non vedi l’ora di comprare un pretesto per poterti definire “mentalmente aperto”.

Appena metti piede in casa ti dimentichi improvvisamente di tutti i compiti che avevi da fare e inizi a leggere…leggere…leggere… Guardi l’orologio. 00.30. Curioso, pensavi di essere rientrato appena nel tardo pomeriggio. Sfogli le pagine con la stessa frequenza con cui  si muovono le lancette dei minuti, sotto i tuoi occhi scorrono le antiche immagini e nel tuo stomaco si alternano farfalle, ansia e travasi di bile. Passi dal letto al divano, dal divano al pavimento e dal pavimento di nuovo al letto perché ormai si è fatta sera, ma le tue mani continuano a piegare le pagine e i tuoi occhi a scorrere caratteri neri, uno dopo l’altro. Ti fermi solo per mangiare e scopri quanto velocemente la gran parte delle pagine sia passata da sotto la tua mano destra alla sinistra, ti stai avvicinando alla fine, ma anche le lacrime si stanno avvicinando ai tuoi occhi. Quando raggiungi le ultime parole chiudi il libro come chiuderesti uno scrigno portagioie. Quella notte dormirai felice.

Quando ti svegli il giorno dopo con la mente lucida nasce la domanda: “perché mi è piaciuto?”

 

La storia e i suoi protagonisti la conosce chiunque sia arrivato indenne in prima media. Ci troviamo intorno al 1250 a.C. in Grecia. La guerra di Ilio non è ancora che un sospetto sull’orizzonte degli eventi e in questo periodo vivono ancora a tramandare le loro gesta i compagni dei mitici Eracle, Teseo e Giasone; i centauri si fanno ancora cavalcare e le dee si fanno ancora violentare e mettere incinte da semplici mortali con la stessa facilità con cui potenti dei stuprano giovani vergini.

Il nostro protagonista e narratore, Patroclo, vive una vita tranquilla più o meno felice nella piccola ma fiorente isola di Stenele. Il suo nome significa “gloria del padre” eppure questo piccolo bambino nato da madre idiota non ha mai fatto niente per onorare il suo genitore poiché non è bello, non è atletico né tantomeno brilla per ingegno. L’occasione per farsi valere gli si presenta quando all’età di nove anni viene mandato a Sparta per presentarsi come pretendente della leggendaria bellezza di Elena. All’incontro lo sfortunato bambino ha l’onore di conoscere tutti i più valorosi uomini del suo tempo. Lo scaltro Odisseo, l’enorme Aiace, il burbero Diomede, il silenzioso Agamennone, il rosso Menelao e altri principi e re di stati dai nomi esotici, si presentano al cospetto di Tindaro ricolmi di doni ricchi e preziosi, valida merce di scambio quando si trattava della portentosa bellezza della figlia. I pretendenti sono troppi e tutti troppo potenti per potersi permettere che, in seguito alla scelta del marito, si venissero a creare inimicizie, o addirittura guerre. Così Odisseo propone che sia Elena a compiere la scelta (così che non le si potesse rimproverare nulla), ma solo dopo che ogni presente le avrebbe giurato fedeltà eterna. Tutti accettarono e il povero Patroclo si trovò improvvisamente legato ad una donna che non aveva neanche mai visto in volto, e che probabilmente non avrebbe neanche mai visto dato che Elena scelse Menelao come suo sposo. Tornato alla sua semplice vita di principe inetto, Patroclo, in un giorno nefasto, a causa di un litigio da bambini, spintona il figlio di un nobile e ne causa la morte. Il padre non potendo accettare un tale disonore di figlio, decise di togliergli il beneficio di “principe” e lo esiliò a Ftia, dove regnava il benevolo re Peleo. Ed è la che incontra il divino Pelide, Achille. I due inizialmente non hanno niente da spartire l’uno con l’altro, anzi, Patroclo è invidioso della superba bellezza di Achille, ma questo non è un ragazzo come gli altri, è il figlio della dea Teti, la sua vista è più acuta di quella di qualsiasi mortale e scorge in Patroclo molto più della sua apparente inettitudine. Senza timori Achille lo nomina suo θήραπον (thérapon), compagno. I due cominciano a vivere insieme e passano  tutto il tempo che possono in compagnia l’uno dell’altro. Dalla narrazione sappiamo quanto Patroclo sia affascinato dalla figura elegante di Achille, dal suo animo nobile, privo di turbamento ed incertezza, tanto che un giorno lo bacia sulla spiaggia davanti agli occhi della madre Teti, figura che rimane enigmatica durante tutto il tempo del romanzo. Ma questi sono solo giochi da bambini.

Il loro idillio comincia davvero solo quando partono per il monte Pelio, dove verranno educati dal centauro Chirone. Sulle pendici della montagna imparano alla scuola del centauro tutti i segreti della natura, e non solo. E’ lì che vivono gli anni della loro pubertà, l’uno ha costantemente sotto gli occhi il corpo dell’altro, e come di tacito accordo spesso si ritrovano o a fare il bagno nel fiume con le gambe avvinghiate, o con le teste accostate a guardare qualcosa nel terreno, o a dormire in un unico letto, ma quello che li guida è sempre un senso di filiale amicizia. Fino al giorno del sedicesimo compleanno di Achille. Quella sera Patroclo riconosce che l’amico fa discorsi strani e sospetta che stia per accadere qualcosa di più grande di loro. Qualcosa che entrambi avevano sempre voluto e inconsciamente cercato, ma allo stesso tempo sempre allontanato per timore. Quella notte si coricano fianco a fianco nel giaciglio, non si dicono niente, ma entrambi sanno cosa sta per succedere, e quando accade non ne parlano. Loro due non si mentono mai, anche quando non hanno niente da dirsi.

La loro relazione tocca finalmente l’apice, ma come ogni romanzo che si rispetti, l’equilibrio viene bruscamente interrotto dalla minaccia della guerra in Asia: Elena è stata rapita dal principe troiano Paride e tutti i sovrani della Grecia sono stati chiamati a raccogliere le loro insegne sotto la potente guida di Agamennone sovrano di uomini e Menelao schinieri robusti. Certo all’appello non può mancare l’ ἄριστος Ἀχαίων (àristos achàion), il migliore degli Achei. Non era infatti mistero che Achille possedesse un’innata bravura per il combattimento, per lui causa sia di gloria che di sventura. I due lasciano Chirone, il quale regala ad Achille una lancia, il centauro sa che il destino di Achille è già stato tessuto da tempo dai fili delle Moire. Un giorno, a colloquio con la madre Teti, il Pelide apprende di un oracolo: sarebbe morto giovane sotto le mura di Troia, ma il suo ricordo avrebbe vissuto per sempre intessuto nelle rime degli aedi. L’unica scappatoia alla morte sembrava una seconda profezia, per la quale Achille sarebbe morto solo dopo Ettore, migliore dei Troiani secondo solo al Pelide. Finché Ettore fosse rimasto in vita Achille sarebbe stato salvo, ma che motivo aveva quest’ultimo di ucciderlo?

Achille e Patroclo vanno incontro ad un periodo di difficoltà, nessuno dei due vuole partire per la guerra, a entrambi basta sapere di poter passare l’eternità con l’altro, ma il Pelide deve andare incontro al proprio destino e il suo compagno portava ancora addosso i segni del giuramento fatto ad Elena tanti anni prima che lo obbligavano a partire per l’Asia. I due vengono separati dalla ninfa Teti, vengono esiliati a Sciro dove Achille è costretto a sposarsi con la principessa Deidamia (che rimane incinta del futuro Neottolemo) e a  nascondersi sotto le spoglie di una ragazza per scappare dalla guerra. Tra una peripezia e quell’altra i due arrivano inevitabilmente a Ilio, rocca inespugnabile.

I primi anni di guerra passano quasi lieti per i due eroi, eccetto che per un turbamento iniziale in seguito alla morte di Ifigenia, prima vera vittima della guerra uccisa davanti agli occhi di Achille che si sente responsabile della sua fine ingiusta: sacrificata alla dea Demetra in cambio di vento favorevole per arrivare a Troia. Lo scrupolo di Achille però passa in fretta. Gli eserciti iniziano a fare razzie nella campagna intorno alla roccaforte e poveri contadini vengono uccisi quotidianamente, ma tutto questo diventa un’abitudine per il Pelide, che comincia ad ubriacarsi della sua stessa gloria. E’ già dai primi scontri che Achille comincia a subire un lento mutamento, ma anche la narrazione muta, diventando sempre meno romanzata e sempre più introspettiva. L’eroe diventa sempre più bramoso di approvazione, di fama, di canti di gloria e rimane riconoscibile solo la sera nella tenda, sdraiato accanto al suo amato Patroclo, unico compagno devoto.

Il vero dramma comincia l’ultimo anno di guerra. Agamennone tiene come suo bottino di guerra Criseide, sacerdotessa di Apollo, facendo infuriare il dio protettore di Troia. Il capo supremo tuttavia non può rimanere senza bottino, in una società di vergogna come quella Achea.  Il bottino di guerra era simbolo di onore, e l’onore era tutto per un guerriero, così Agamennone per paura di rimanere disonorato richiede in cambio di Criseide la schiava Briseide, bottino di Achille. In uno scontro verbale sfrontato ed audace Achille insulta Agamennone, ricorda ai propri soldati che senza di lui la guerra sarebbe stata persa, lui è il migliore dei greci, ma il suo discorso pieno di superbia non riesce a fare presa sul pubblico e Achille è costretto a rinunciare a Briseide, al proprio onore, così giura che non combatterà più al fianco dei greci finché il loro capo non decidesse di chiedere perdono per l’oltraggio. Patroclo che si era affezionato a Briseide quanto ai suoi compagni Achei che adesso vedeva cadere come mosche sotto i colpi pesanti di Ettore e i suoi troiani, implora Achille di tornare a combattere, di farlo almeno in nome dell’amore che provano l’uno per l’altro. Ma il Pelide è irremovibile, ormai è arrivato al punto di non ritorno, tanto è inebriato dalla ricerca della gloria eterna, ma non ha fatto i conti con la caparbietà del compagno che decide di andare a combattere indossando le armi del semidio per spronare il proprio esercito. Achille è riluttante, ma poi lo lascia andare con la promessa di scappare alla prima avvisaglia di pericolo. Patroclo lo rassicura, si baciano. Quel loro ultimo bacio non vale un addio eppure  Patroclo non tornerà mai più dal campo di battaglia. Achille si incolperà per sempre della morte dell’amato e non vede l’ora di uccidere Ettore per vendicare la sua ingiusta fine. Soprattutto non vede l’ora di poter avverare la profezia, infatti subito dopo il troiano sarà Achille a cadere e così è. Una freccia scagliata da Paride e guidata da Apollo disegna una traiettoria alta e curva prima di conficcarsi nel cuore di Achille che cade a terra, il sorriso sulle labbra, sa che quel giorno rivedrà l’amato Patroclo nell’Ade.

 

Per un attento lettore dell’Iliade una rielaborazione di questo genere è un affronto al ricordo di Omero, eppure questo non deve trarre in inganno. Questa non è una storia di guerra, né di eroi, né di gesta gloriose, è la storia di meri uomini, che provano emozioni semplici ma grandi. L’amore tra i  due protagonisti non è strano, non è leggendario, né tantomeno è infallibile, ma è puro, mutuale e devoto, e questo è ciò che basta all’amore per essere definito tale.  Riesce difficile descrivere il loro amore che inizialmente nasce come un gioco timido, che cresce erotico e passionale e sfocia nella umiltà devota.

Nel passarci l’idea dei sentimenti l’autrice è infallibile, sia tramite i dialoghi (non lunghi ma precisi) sia nell’uso di metafore e similitudini che risultano sempre calzanti e non appesantiscono affatto la narrazione. La prosa è semplice ma schematica e alterna periodi lunghi a incisi brevissimi che vogliono focalizzare l’attenzione sulle parole utilizzate. Infatti troviamo più volte riferimenti e citazioni che sembrano inizialmente adombrare un significato nascosto, oppure possono essere scambiate per pure scelte stilistiche dettate dalla foga della scrittura. Ma quando siamo di fronte ad una creazione dobbiamo tenere presente che nulla è stato pensato e aggiunto a caso, per un motivo sconosciuto. Così come cerchiamo le figure retoriche nelle poesie o osserviamo accuratamente un quadro per carpirne tutti i dettagli, allo stesso modo ci dobbiamo porre davanti ad un testo. Perché l’autore ha usato proprio quella parola? Perché ha ripetuto quella frase? Come mai particolareggia un’azione superflua? E se a queste domande non troviamo una risposta immediata, possiamo star certi che tutto si spiegherà alla fine. Allo stesso modo in questo romanzo l’autrice sapientemente usa questo tipo di suspense leggermente nascosta, creando un senso di aspettativa nel lettore che , quando si trova davanti alla soluzione dell’enigma, rimane con un senso di nostalgia e di rammarico. In questo sta un grande punto di forza del romanzo: niente è lasciato al caso, esattamente come i destini dei protagonisti. Tutto era già stato predetto, già deciso in precedenza, ciò che rimaneva loro fare era decidere come spendere questo tempo. In questo poi consiste il pensiero greco: chi per te ha già deciso su che binari viaggerà la tua vita, tu cerca solo di non far deragliare il treno.

Un ulteriore pregio del romanzo è la ricca introspezione dei personaggi, oltre alla buona caratterizzazione. L’autrice ha deciso di utilizzare personaggi predefiniti. Non potendo  inventare nuovi personaggi ha potuto solo reinventare. Certamente per personaggi minori si è dovuta basare sugli stereotipi, carattere fondamentale dell’epica arcaica, che in alcuni casi riesce anche molto bene. Ad esempio Apollo, personaggio secondario tra i secondari, appare solo in due battute, eppure non sembra fuori luogo e tutto sommato pare avere anche senso come personaggio, l’abilità dell’autrice in questo caso è stata riuscire a costruire un personaggio con due semplici colpi di pennello. Compito non altrettanto facile per i due protagonisti Patroclo e Achille, che hanno bisogno di uno spazio maggiore. Analizzando prima Achille: per quanto riguarda la storia precedente alla guerra l’autrice aveva la piena libertà di creazione. Tuttavia il contrasto tra il personaggio prima e dopo non doveva essere troppo accentuato, poiché ne sarebbe derivata una forzatura. L’autrice allora rende il cambiamento di Achille abbastanza lento e graduale, inserendo qualche escamotage nella narrazione. Egli inizialmente è un ragazzo nobile di spirito, fiducioso in se stesso e negli altri e capace di leggere nel cuore delle persone, man mano che la guerra si inasprisce, diventa sempre più affamato di gloria e potere, iracondo e rancoroso lo riconosciamo meglio con l’Achille che studiamo nei libri di testo scolastici. Tuttavia ogni tanto l’ombra dell’Achille sereno torna, ma questo non ha altro effetto che aumentare il timore nel lettore. Ricordando sempre il Pelide prima e dopo, l’autrice, ci tiene costantemente avvisati: ehi guardate che la fine è vicina, sembra voler dire. Fortunatamente ad attenuare la forza di un personaggio come Achille, e a salvarlo, donandogli caratteri umani che ci consentono di simpatizzare maggiormente con lui, c’è Patroclo. In quanto narratore della storia è lui quello che deve far passare i messaggi importanti, che deve recapitarci le osservazioni, che purtroppo sono sporadiche e non particolarmente geniali. Patroclo, a differenza del compagno, cambia in meglio, e questo lo dobbiamo proprio a quest’ultimo che (primo e unico) ha capito il valore insito nel ragazzo. Ha intuito  il suo cuore onesto che spesso gli fa anteporre il suo bene a quello degli altri, e dello stesso Achille. Patroclo è semplicemente giusto, ma questo non lo rende cieco nei confronti di chi sta sbagliando, questo senso di giustizia non lo rende meno devoto ad Achille, anche quando questo perde il senno. Altrettanto riuscita però non possiamo dire la caratterizzazione di Teti, nella quale troviamo l’unica incongruenza (o almeno la più evidente) dell’intero romanzo, fortunatamente questa si salva all’ultimo regalandoci una emozionante sorpresa.

 

Mille e mille ancora di osservazioni del genere ti viene in mente di fare, e più ci ripensi e più riaffiorano ricordi che non vorresti lasciar andare perduti. Eppure questi pensieri ti sono frullati in mente tutta la giornata e ancora ti chiedi perché questo libro ti sia piaciuto veramente,  ma se tu sapessi descrivere a parole i sentimenti che provi allora non saresti qui a digitare questa  recensione sbeccata e  amatoriale e probabilmente staresti inviando un tuo manoscritto ad una casa editrice, ma un po’ per consolarti, un po’ per scusarti della tua semplicità, pensi che se fossimo tutti in grado di descrivere le nostre emozioni smetteremmo di provarle perché saremmo già sazi di belle parole. E allora con questa frase decidi di congedarti e lasci che ancora per un ultima volta le immagini di Achille e Patroclo viaggino per la tua mente, che le loro voci fluttuino nelle tue orecchie e che le loro emozioni battano per un po’ nel tuo cuore, e seguendo questo ritmo eterno e familiare ti addormenti perché è di nuovo scesa la sera.

Sabina Petroni

Un pensiero su “LA CANZONE DI ACHILLE

  1. Ho letto anche io questo libro, e sono contenta di sapere che anche a qualcun’altro è piaciuto tanto quanto a me!! Ho costretto tutte le mie amiche a leggerlo, tutti devono sapere quanto shippo Achille e Patroclo!!!!
    A parte gli scherzi, la tua recensione è fantastica! Mi ha fatto riflettere su tanti aspetti del libro che non avevo tenuto in considerazione! Spero che saprete consigliarmi presto un altro libro altrettanto bello.

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